sabato 25 dicembre 2010

venerdì 20 agosto 2010

Avventura sulla nord della Leitosa





Questa mattinata di luglio, calda in un modo anomalo, sembrerebbe essere il momento ideale per tentare di realizzare quanto ci siamo prefissati. Il vallone della Leitosa che stiamo risalendo da circa un ora è infatti un luogo notoriamente freddo, esposto a ovest e soleggiato soltanto nel primo pomeriggio. La nostra intenzione è inoltre quella di attaccare la parete nord ovest del gigantesco sperone che occupa il terzo vallone di Leitosa e che costituisce il più robusto contrafforte nord della Cima di Leitosa stessa. E’ una parete verticale e abbastanza compatta, inviolata in questo settore. Solo più a destra si sviluppa un itinerario del solito Grassi: Spazio Bianco sulla Mappa, che abbiamo ripetuto l’anno scorso e che ci è servito per gettare sguardi indiscreti su questo settore della montagna. Sono state 14 lunghezze impegnative, con una dura fessura finale di 6c e con soli 5 chiodi trovati in parete. Conosco molto bene questo versante costituito dalle selvagge creste della Leitosa, dove ho arrampicato molto, e che ritengo assai più severo per isolamento e difficoltà di ritirata di molte altre zone più blasonate delle Alpi piemontesi.
Siamo partiti dal fondo del vallone di Sea con l’imbracatura già indossata e tutto il materiale appeso. L’intenzione è quella di scalare con uno zainetto leggero e recuperare con i jumars il sacco più grande in cui abbiamo riposto acqua, materiale per eventuale bivacco di fortuna e poco vestiario. A me, che sarò il capocordata della salita, sarà concesso di scalare con il solo materiale. Una volta in sosta recupererò il sacco più grande e, l’amico Luca, salirà poi con lo zainetto più piccolo.
Luca è per me un secondo ideale, abile schiodatore, arrampicatore veloce e ottimo artificialista. E’ inoltre in grado di intuire le mie mosse in parete dalla sua posizione di sosta e gestire la corda in modo ottimale. Insomma, è un compagno che dà grande sicurezza e che testimonia quanto un abile secondo di cordata sia fondamentale quanto un primo, soprattutto nelle salite di montagna. Sono quasi le otto e stiamo risalendo il faticoso canale detritico che sovrasta il celebre Masso di Nosferatu. Giunti sotto l’obbligato rateau de chevre che chiude il canale, fatichiamo un po’ a passare strisciando fra i blocchi e gli ontani, poiché il materiale appeso si impiglia un po’ ovunque. Imbocchiamo la cengia rampa sotto la misteriosa Parete del Nano ed in breve raggiungiamo il plateau del primo vallone di Leitosa e con il gias omonimo. Superiamo dunque la base della Cresta della Cittadella e scendiamo nel canale che difende il secondo vallone. Lo risaliamo tra fitti ontani e poi per pietraia fino alla base della Cresta NNO della Leitosa e del torrione detto Il Gallo. Il versante freddo e poco solare ci sovrasta con immense e articolate pareti, talvolta tormentate da lunghe creste che scendono ripide e poco invitanti dalla quota 2870 m. Finalmente, dopo l’attraversamento di una sterminata pietraia, raggiungiamo il terzo vallone e la base della imponente parete triangolare che costituirà la prima e impegnativa parte della nuova via che intendiamo aprire.
Sono solo le 9,30 ma siamo sudati al punto che dobbiamo immediatamente idratarci, a scapito delle nostre scarne riserve d’acqua. Un ultimo sguardo col binocolo mi conferma le preoccupazioni che mi avevano assalito un anno prima. L’ultimo terzo di parete è sbarrato da enormi gradini rovesci e, l’unica possibilità di passaggio per non impelagarsi in lunghi e difficili tratti di artificiale, è rappresentata da una placca verticale, forse addirittura strapiombante in alcuni punti.
C’è da sperare che da questa posizione di osservazione e, data la distanza, non si riesca a vedere la presenza di fessure, che ci permetta di salire con le sole nostre protezioni tradizionali. Viceversa la situazione diverrebbe critica. Le prime tre lunghezze non riservano sorprese ma, la roccia, e meno bella di quanto ci fossimo immaginati. La parete diviene sempre meno articolata e ci conduce giocoforza dentro un diedro già evidente dal basso. Allestisco alla sua base un punto di fermata su due chiodi e recupero il sacco grande. Ma questo si impiglia sotto una lama sporgente e non c’e verso di smuoverlo. Luca è allora costretto a salire per liberarlo ma, quando arriva all’incirca all’altezza di questo, si accorge che è incastrato assai più a destra rispetto alla linea di salita. Mi raggiunge allora in sosta e poi scende sulla verticale calato da me fino al sacco che raggiunge con un paio di pendolate. Il guaio è risolto con una perdita di tempo limitata e una risalita sulle corde.
Sono le 11,30 e dopo otto lunghezze siamo oltre metà parete. Vedo già la sezione chiave della salita, cioè la placca verticale e compatta che caratterizza il vertice del grande triangolo. Ma raggiungerne la base è tutt’altro che facile, poiché mi trovo più a destra e sotto una barriera di tetti, inoltre detta placca è difesa da una curiosa e lunga cornice spiovente. Dopo un paio di azzardati tentativi in arrampicata libera, mi arrendo all’evidenza e inizio una complicata ed espostissima traversata in A2, che mi obbligherà ad usare nell’ultimo tratto un paio di bong di grandi dimensioni. Arrivo dunque alla base della placca, mi alzo ancora con un passo in artificiale e con una mano riesco a chiodare e ad allestire al meglio una sosta in una fessura semicieca e verticale. Il recupero del sacco comporta un interminabile e pauroso pendolo dello stesso, senza però conseguenze.
Mentre assicuro Luca che velocemente risolve il tiro sulle staffe, alzo lo sguardo oltre la piccola convessità della placca che mi impedisce una visuale completa e spero che l’esile fessura continui oltre per permettermi di piazzare le protezioni. Riparto fra un misto di curiosità e apprensione e, dopo un passo già abbastanza complesso, esco dalla convessità entrando nel cuore della placca verticale. Subito mi assale un certo sconforto quando vedo con sgomento che non vi sono fessure! Rimango fermo su un gradino sulle punte dei piedi con le mani addossate alla placca che vorrebbe sputarmi all’indietro nel vuoto. Passano quasi cinque minuti e i polpacci mi esplodono per la scomoda posizione, mentre penso al da farsi. Cinque metri di placca panciuta di 6b da fare in arrampicata in discesa mi separano dall’ultimo friend che ho piazzato poco dopo aver lasciato la sosta, precludendomi praticamente la possibilità di ritirarmi. Decido allora di proseguire, sperando nella provvidenza e puntando ad una sporgenza verticale quattro metri più in alto. “Se riesco ad agguantarla in dulfer non la mollo più” penso in silenzio. Salgo su minuscole tacchette altri due metri arenandomi di nuovo contro una zona liscia. Potrei azzardare il passo ma devo assolutamente proteggermi. Scorgo allora un curioso buco nella roccia nerastra, che è in realtà una piccola dilatazione di una crepa.
Sembra abbastanza profondo e potrebbe ospitare un chiodo. Appigliato con la mano sinistra ad una presa pessima e con i piedi messi abbastanza male tento di infilarvi la punta di un chiodo, che poi, in modo un po’ scomposto e con la medesima mano tento di martellare. Ma al secondo colpo questo schizza via come un proiettile, e rimbalza più volte sui 250 metri di parete sottostante. Rinuncio ai chiodi ma mi devo sbrigare poiché potrei scivolare da un momento all’altro con un volo poco auspicabile. Ma ecco che provvidenzialmente mi ricordo di avere appeso al porta materiale dell’imbracatura anche un ball – nut di Luca, un curioso nut meccanico “bifaccia” che ho usato poche volte e che non mi piace per niente. Lo infilo nel buco e noto subito che si piazza saldamente. Non finirò mai di ringraziare Luca per avermelo offerto e cambierò da questo istante idea sulla sua validità, lo giuro! Rincuorato dalla protezione, mi riassetto in posizione e tento una difficile pinzata di dita su delle piccole tacche molto distanti e con i piedi solo in appoggio. Mi alzo tra una smorfia e un grido strozzato di fatica mentre punto alla sporgenza verticale ormai quasi a portata di braccio. Trattengo il respiro e apro una bracciata verso destra. Presa! Immediatamente accoppio le mani sulla sporgenza mentre con il piede destro piazzato in una concavità cerco di assorbire al meglio lo sbilanciamento. Ancora un attimo di tensione, e poi anche i piedi si pareggiano donandomi una posizione stabile. Salgo rapidamente poco più di un metro e, un gradino netto che afferro con la mano destra, mi dice che il peggio è passato. Rimonto facilmente gli
ultimi metri della placca riuscendo addirittura a piazzare un friend e poi allestisco un’ottima sosta su di una piccola cengia detritica. Mentre recupero Luca, guardo soddisfatto verso il basso la chiave della salita appena superata: 18 metri con difficoltà di 6b+ e 6c continue, due friend e un ball nut di protezione. I tre tiri che seguono non riservano sorprese, tranne una lama gigantesca che afferro in traversata dopo un diedro e che noto con sgomento essere completamente staccata e appoggiata alla parete. Alle 15, 30 esco al vertice del triangolo e dalle difficoltà dopo 350 metri: abbiamo lasciato in parete solo due chiodi. Scorgo l’ometto che avevo rinforzato l’anno precedente e che mi dice che mi sono ricollegato all’uscita di “Spazio bianco sulla mappa”. Ci aspettano ora facili ma insidiose lunghezze sulla cresta che ci condurranno sulla selletta appena sotto la vetta. Guardo l’altimetro: siamo a quota 2650. Tolgo le scarpette e metto le scarpe da avvicinamento per arrampicare, poiché le difficoltà non superano ormai il 5b. Occorre tuttavia prestare attenzione alla roccia poco solida, ai tratti esposti ed insidiosi. Ma l’itinerario, in questo tratto già percorso, è come stampato in mente e non vi sono sorprese. Infatti, già alle 16, 40 siamo in vetta a quota 2870, con uno splendido sole che ci illumina e ci riscalda. Abbiamo arrampicato per oltre 500 metri, merce rara nelle nostre valli e, cosa più importante, siamo passati in apertura su difficoltà abbastanza elevate per questo tipo di terreno solo con attrezzatura tradizionale. E’ questo il modo di arrampicare in montagna che più ci piace, sapendo leggere la montagna e individuandone i punti deboli, in barba a chi a poca distanza da qui si permette maldestramente di attrezzare le soste sugli spit alla nord della Mondrone e perfino sul “Murari” alla Bessanese. Mentre percorriamo verso nord la cresta, in direzione della Cima settentrionale di Leitosa, getto uno sguardo sui due versanti: quello più dolce e meno difficile della Valle di Ala, quello dominato dal baratro sul Vallone di Sea. Fortunatamente ho buona memoria fotografica e individuo la Via Altavilla – Vittoni che sale dal secondo Vallone di Leitosa: l’ho già utilizzata un paio di volte in discesa ed è rapida e veloce, con facili roccette di II e III° grado. In circa due ore siamo sugli sfasciumi alla base della parete nord e ci portiamo sul filo dell’antica morena laterale del secondo Vallone di Leitosa, ora parzialmente vegetata. Sono le 19,30 e l’imbrunire incomincia a incombere sul Vallone di Sea, ma non mi preoccupo, poiché da questo punto potrei scendere in qualsiasi condizione, anche senza pila frontale. Lottando con gli ontani scendiamo nel marcato canalone valanghivo e di scolo che sovrasta la Parete degli Hobbit e lo Specchio di Iside. Sarei da qui tentato di puntare in direzione dello Specchio e calarmi direttamente da una delle tante linee che non avrei difficoltà a reperire. Ma la vegetazione e troppo fitta, per cui risaliamo come da copione fino alla base della Cresta della Cittadella, da cui raggiungiamo il Gias Leitosa primo. Dopo una breve sosta all’alp ci incamminiamo alla volta della Parete del Nano e del canale di Nosferatu, che percorriamo ormai nella semi oscurità. Giunti al masso omonimo stanchi e affamati, Luca propone l’estrema follia di una giornata visionaria: non scendere assolutamente a valle se prima non avremo salito la celebre fessura Motti alla luce dei frontalini. Non so per quale motivo accetto, lasciando però dopo una giornata da capocordata l’onore a lui di salirla dal basso piazzando le protezioni. In breve Luca, che mostra ancora una freschezza non comune, risolve i fatidici 15 metri e recupera il sottoscritto stanco e per nulla pentito delle cortesia concessa all’amico sul “semplice” 6a. Un gioioso pediluvio, durante il guado dello Stura di Sea ed effettuato nella totale oscurità, segna la fine di questa nuova avventura. Sono le ore 22,15.


Cima di Leitosa 2870 m – Valli di Lanzo

Parete NNO dello sperone del terzo vallone di Leitosa via nuova; Marco Blatto e Luca Pinto: 500 metri di arrampicata totale in circa 7 ore di scalata; diff. III/R4+ 6c obbligatorio.
In posto 2 chiodi e due cordoni di sosta a clessidre

lunedì 26 luglio 2010

Vallone di Sea, una storia che continua



Due splendide e ormai quasi inusuali giornate fresche e asciutte, hanno accolto sabato 24 e domenica 24 luglio i 43 arrampicatori che hanno avuto il coraggio di “mettersi in gioco”, sulle fessure non protette del Vallone di Sea così come sui passaggi preparati dagli specialisti del bouldering (arrampicata su masso). Cuneesi, ossolani, liguri, torinesi e i soliti pochissimi “locali”, si sono così avvicendati, soprattutto nella giornata di sabato, sulle impegnative vie dello “Specchio di Iside”. Per molti, seppur noti e forti scalatori, il vallone ha rappresentato una piacevole sorpresa segno che, nonostante i decennali sforzi di qualcuno che ha sempre creduto nell’unicità del luogo e della sua storia, molto resta ancora da fare, “…o forse perché molte vie sono più difficili rispetto ai gradi apparentemente abbordabili e, persino, la gente famosa, qui non si compra la gloria a buon prezzo”, come recitava Marco Scolaris nell’introduzione della guida di arrampicata del Vallone di Sea. Dopo parecchi anni e in barba alle titubanze di alcuni, a Sea è invece tornato il “decano” Angelo Siri, un tempo forte scalatore savonese socio di Gian Carlo Grassi (nonché autore del documentario Sogno di Sea). Con Jacopo Morletti, Angelo ha così potuto ripercorrere di nuovo una parte di quella storia che egli stesso aveva contribuito a scrivere nella seconda metà degli anni ’80. E gioia e stupore deve aver provato Angelo, quando, durante la cena del sabato sera, due forti scalatori cuneesi gli hanno restituito un curioso chiodo “artigianale” costruito dal compagno di scalate Gian Carlo Grassi, utilizzato durante la loro ascensione del “Diedro di Gollum” del 1986. La domenica è stata la giornata dei più giovani, molti dei quali hanno avuto il coraggio di cimentarsi con l’arrampicata “tradizionale”, ovvero quella senza protezioni fisse, oppure con i nuovi passaggi sui massi del circuito di “Polvere di Stelle” di Balma Massiet, sotto l’occhio attento di Marco Scolaris, presidente dell’IFSC (International Federation of Sport Climbing). Altra sorpresa del raduno è stato il pubblico. Decine di curiosi, questa volta per lo più villeggianti “locali”, sono saliti fino a Balma Massiet per seguire con il binocolo le evoluzioni degli arrampicatori. E’ stata insomma una festa del Vallone di Sea, impreziosito per l’occasione da cartelli di legno indicatori delle pareti più famose e dalla sistemazione “in extremis” della passerella sul torrente nei pressi dell’alpeggio, ad opera dei ragazzi delle colonie alpine di Pialpetta e di alcuni incaricati del comune. A luci spente resta da chiedersi dove vada l’arrampicata come risorsa turistica delle nostre valli, una risorsa la cui valorizzazione non può certo passare solo attraverso “inscatolati” pacchetti turistici o progetti faraonici che alla fine svendano il territorio senza tenere conto della sensibilità del paesaggio e della sua storia. Occorrerà accettare che, l’arrampicata, in un luogo come il Vallone di Sea è anche un fenomeno storico-sociale, parte integrante della cultura dell’alpe dal lontano 1927. Come tale andrà capito, preservato e tramandato.

martedì 22 giugno 2010

Il GISM - Gruppo Italiano Scrittori di Montagna a convegno a Macugnaga


In occasione del loro consueto convegno nazionale, quest'anno gli scrittori di montagna si sono dati appuntamento il 18, 19 e 20 di giugno a Macugnaga, nella splendida cornice del versante est del Monte Rosa. Sotto la squisita regia di Teresesio Valsesia (sindaco di Macugnaga, storico e Accademico GISM) i partecipanti hanno avuto modo di assistere, sabato mattina, anche a una lectio magistralis di glaciologia, tenuta sull'ablazione del Ghiacciaio Belvedere dal Socio Accademico Prof. Claudio Smiraglia, uno dei massimi esponenti nazionali in questa materia. Sabato pomeriggio, si è invece svolta l'assemblea dei soci presso la Kongresshaus (dove era anche stata allestita una rassegna dei soci pittori e un'esposizione di libri), con la consegna dei premi GISM 2010.
In particolar modo, vorrei qui segnalare i vincitori dei due premi d'alpinismo:
il prestigioso premio G.De Simoni è andato all'alpinista piacentino Davide Chiesa, autore anche del libro "Montagne da Raccontare", mentre, il premio Paolo Armando è stato assegnato all'Accademico del CAI Massimo Piras, instancabile esploratore delle Alpi sud-occidentali.
Al termine dell'assemblea, si è aperta un'interessante tavola rotonda dal titolo "Le ali dell'Angelo: Emilio Comici a 70 anni dalla sua morte" con contributi di Andrea Gabrieli, Spiro Dalla Porta Xydias e Dante Colli. Moderatore Filippo Zolezzi.
Alla cena di gala del sabato sera, offerta dagli organizzatori e tenutasi presso l'Hotel Zumstein, è seguita presso la Kongresshaus un'altra superba lezione di glaciologia del Prof.Smiraglia.
Domenica 20, tutti i soci si sono ritrovati al cimitero di Macugnaga (monumento nazionale)
per rendere omaggio alla lapide che ricorda tutti i soci GISM scomparsi, tra i quali , si possono scorgere nomi che hanno fatto grande l'alpinismo e la cultura di montagna.
Tra questi: Adolfo Balliano, Guido Rey, Dino Buzzati, Armando Biancardi, Fosco Maraini, Gian Carlo Grassi, Riccardo Cassin. Con le note suggestive del Coro Monte Rosa, diretto la Maestro Enrico Micheli, vi è stata l'occasione per un sentito ricordo di alcuni soci che, in tempi più recenti e in prima persona, hanno contribuito a sostenere e diffondere gli ideali del GISM. Citiamo dunque la storica segretaria del GISM Carla Maverna, Luigi Rava, già vicepresidente del Cai e Consigliere GISM, Oscar Tamari, editore e promulgatore della cultura alpina.


Il GISM

Il GISM è nato nel 1929 come una sorta di "contr'altare" del Club Alpino Italiano Accademico Italiano (CAAI). Ma se da una parte s'intendeva raccogliere quegli alpinisti particolarmente sensibili alla cultura letteraria, filosofica e artistico-figurativa, che il praticare montagna suggerisce, dall'altro vi era la chiara esigenza d'imporsi alla sportivizzazione dell'alpinismo, che il regime fascista aveva sancito con il confluire del Club Alpino Italiano nel coni nello "sport fascista".
Non s'intendeva quindi accettare l'idea che, la "spiritualità", innata nell'alpinismo e che lo distingue da qualsiasi sport, venisse del tutto cancellata a favore di una concezione superomistica e di regime.
Fin d'allora, il GISM ha tenuto fede a quegli ideali e, a 81 anni dalla sua fondazione, i suoi Soci alpinisti sono schierati in prima linea contro la deriva di un alpinismo "sportivo", opponendovi la ferma convinzione che l'ascensione sia fatto etico- ideale e desiderio di innata elevazione spirituale.
Ciò non significa, ovviamente, come la sua storia insegna, che l'alpinismo non abbia anche in sè una componente sportiva. Essa non è tuttavia prioritaria e dominante.
Con l'intento di essere sempre in prima linea e al passo coi tempi in materia di "etica dell'ascensione", il GISM ha da quest'anno costituito una commissione tecnico-etica formata da alcuni soci sì "più giovani", ma forti e attivi alpinisti sulla scena nazionale e particolarmente praparati im materia storico-etica.



informazioni su http://www.gruppogism.it/






lunedì 21 giugno 2010

Vallone di Sea Climbing Meet 2010 24 e 25 luglio



Si terrà nel week-end del 24 e 25 luglio, il primo meeting di arrampicata in questo splendido vallone della Val Grande di Lanzo, nel cuore delle Alpi nord-occidentali. L'incontro, a carattere spontaneo, vuole costituire un momento di aggregazione per gli scalatori di culture e provenienze diverse, per gli amanti delle vie multipitch, del "trad" e del bouldering





Storia dell'alpinismo delle Valli di Lanzo: la necessità di una revisione


La pubblicistica storica istituzionale sulle Valli di Lanzo, ha da sempre cristallizzato una visione 'balmecentrica' dell'alpinismo, una visione dovuta forse alla maggiore fama di montagne come la Ciamarella con il suo facile e frequentato versante sudovest, oppure dell'estetica Bessanese. Altri motivi potrebbero essere ricercati nella caratura di alcuni personaggi della prima fase pionieristico - esplorativa, forse nel corso del secolo successivo ecessivamente mitizzati. Tutto ciò a discapito di sottogruppi montuosi, solo apparentemente minori, della valle di Viù o della Val Grande, come per esempio quello Sea-Monfret o Gura-Martellot. Eppure, queste vette, la maggior parte delle quali supera i tremila metri di quota, furono teatro nell'epoca pionieristica di momenti assai importanti della storia alpinistica delle Alpi Graie Meridionali, con all'opera protagonisti di prim'ordine come Vaccarone, Corrà, Ricchiardi e Coolidge. Pur concedendo a Balme i natali "storici" dell'alpinismo torinese (ed altri primati come la nascita di quello invernale), va però detto che questo, già a partire dagli anni '50, quivi segna il passo.
E' invece nella Val Grande di Lanzo che si susseguono in modo pressochè ininterrotto, una serie di ascensioni impressionanti, molte delle quali sono di diritto entrate a far parte della storia dell'alpinismo piemontese "moderno". E' sulle pareti della Val Grande di Lanzo, inoltre, che hanno trovato terreno di coltura ideale movimenti rivoluzionari di pensiero nella filosofia dell'arrampicata come il "Nuovo Mattino", oppure sperimentazioni tecniche d'alta quota dalla quale è partita, in modo significativo, la diffusione della tecnica della piolet traction. Vorrei dunque, a suffragio e sostegno di questa convinzione, citare qui brevemente solo alcune salite che, a mio parere, hanno rappresentato un momento "storico" di ineguagliabile importanza nelle Alpi Graie Meridionali.

  • 14 settembre 1887: Giuseppe Corrà e Michele Ricchiardi salgono l'impegnativa cresta nord dell'Uja di Ciamarella, un primo approccio al severo versante settentrionale di questa montagna, con all'epoca difficoltà di "misto" d'eccezione
  • 4 agosto 1922: prima salita del glaciale versante nord dell'Uja di Ciamarella, da parte di E. Ferreri e W.Levi. Una tappa fondamentale nella scalata in ghiaccio su queste montagne
  • 23 settembre 1959: Andrea Mellano ed Edmondo Tron vincono la parete est della Punta Corrà. E' forse in quel momento la via in montagna più dura delle Graie Meridionali
  • 6 ottobre 1968: Motti, Manera, Comba e Pivano superano il Pilastro Castagneri della Cresta di Mezzenile, strappando il primato di "via più difficile delle Valli di Lanzo" a Mellano - Tron
  • inverni 68'-69: con il "trittico" di vie sulla parete sud del Bec di Mea da parte di Motti Grassi, Carena, Pivano, Manera, s'inaugura un terreno di ricerca destinato, nella vicina Valle dell'Orco, a diventare l'espressione del Nuovo Mattino
  • giugno 1978: con la via delle "Docce scozzesi" sulla seconda parete di Balma Massiet, Isidoro Meneghin e Sergio Sibille aprono le porte all'esplorazione sulle pareti del Vallone di Sea e del periodo delle "Antiche Sere"
  • 8 dicembre 1979: Comino, Grassi e Bernardi effettuano la prima ascensione del couloir est del Dome du Mulinet, superando un salto ghiacciato di oltre 100 metri. E' la prima volta che la tecnica della piolet traction viene utilizzata in salite del genere su queste montagne.
  • 12 settembre 1991: Blatto, Bensio, Cumino realizzano una direttissima sul pilastro sudest della Punta Francesetti. Il settimo grado superiore fa per la prima volta, in apertura, la sua comparsa oltre i 3000 metri su queste montagne
  • 2 settembre 2004 è ancora Blatto ad aprire una via di "stampo tradizionale" sulla parete nordest dell'Albaron di Sea, con difficoltà fino al 6a+
  • giugno 2007: Punta centrale della Cima di Leitosa, via nuova ad opera della cordata Blatto Bensio. Per la prima volta l'ottavo grado "trad" fa la sua apparizione su di un'alta parete (2833 m) delle Valli di Lanzo
Una storia dunque, quella della Val Grande, volutamente o maldestramente non nota a certi storici "reducisti" dell'alpinismo valligiano. In questi anni su montagne come la Bessanese o l'Uja di Mondrone, che di fatto sono un patrimonio comune della storia alpinistica torinese, si è addirittura assistito all'"uccisione" di questa, con la posa, da parte di qualche alpinista locale, di spit e catene lungo itinerari aperti negli anni '30!!
Ciò dimostra solo la scarsa capacità di guardare oltre e la maldestra volontà di rendere più "plaisir" gli itinerari di fatto banalizzandoli, mettendo in campo come motivazione a sostegno di tale tesi, la necessità di rendere più rapido un ipotetico intervento di soccorso.
Ma già oggi, a partire dalle strutture di bassa-media quota delle valli, si registra per fortuna un'inversione di tendenza, che vede nella scalata "clean" lo strumento di preservazione della storia e di certi itinerari, bandendo la logica spit=sicurezza. Questa nuova sensibilità/consapevolezza, potrà costituire in futuro un deterrente da altri "interventi" come quelli appena citati sulle nostre montagne, spronando, chissà, una nuova ventata esplorativa che investa nuovamente le valli.