giovedì 30 maggio 2013
Ricordando Gian Piero Motti
Quest’anno, sabato 22 giugno, ricorderemo la figura di Gian Piero Motti, alpinista e raffinato ideologo della montagna. Lo faremo a Breno di Chialamberto, luogo che gli fu caro fin dall’infanzia e che vide maturare progressivamente quella sensibilità spirituale e visionaria che seppe in seguito far irrompere in un mondo alpinistico dominato dallo stallo intellettuale. Tralasciando la consueta anfibologia: “Nuovo Mattino-Motti” e rifuggendo da velleità agiografiche, dell’uomo Motti a mio avviso occorre senz’altro sottolineare le profonde e solide radici con i luoghi della fanciullezza, con quella geografia degli affetti in cui, la Val Grande in particolare, avrà un ruolo fondamentale nella definizione di quell’animo che coglierà come pochi altri lo spirito evocativo della montagna e dei suoi elementi. Questo fatto emerge in modo esemplare nell’ultimo scritto: “Alla ricerca delle Antiche Sere”, dove la monografia alpinistica sul vallone di Sea è in realtà la scusa per svelare molti elementi chiarificatori del tentativo, forse fallito, di intendere la scalata entro una dimensione spirituale. Le “Antiche Sere” rappresentarono probabilmente una delle ultime espressioni manifeste del mondo alpinistico contemporaneo in cui si possono rilevare tutti gli elementi del romanticismo: la percezione del paesaggio, l’empatia, lo slancio sentimentale, il volo di fantasia, il riferimento all’idealismo magico di Novalis, il simbolismo, la nostalgia. E con il termine “Antiche Sere”, metaforicamente speculare al “Nuovo Mattino” dei primi anni ’70, possiamo altresì intendere un periodo storico ben preciso che va dal 1979 a quel tragico giugno del 1983, quando Gian Piero decise di lasciarci. In noi, all’epoca giovani apprendisti del mondo del verticale, rimase l’indelebile ricordo dei frequenti incontri serali ai Massi di Balme di Cantoira, animati da un uomo elegante nel gesto e nella parola. Negli anni che seguirono, invece, maturò sicuramente in me la voglia di studiare a fondo l’essenza del suo pensiero, troppo spesso mistificato e asservito a un certo manierismo letterario. Ricorderemo Gian Piero dunque, a trent’anni esatti dalla sua scomparsa, lo faremo con amici e famigliari e con il rammarico che le nostre valli non sono solite celebrare i loro uomini più illustri. Lo abbiamo già visto succedere in passato. Ed è un vero peccato oltreché un’occasione persa.
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