Anche gli “eroi” fuori dal comune, quelli che nell’immaginario ci paiono immortali, sono destinati a lasciare questo mondo. Così, consumato da una grave malattia, se n’è andato Walter Bonatti, uno dei maggiori protagonisti dell’alpinismo dell’era moderna. Giunto giovanissimo alla pratica della montagna sfruttando anche le sue doti di ginnasta, aveva in breve tempo polverizzato diversi tabù del mondo alpinistico, realizzando, soprattutto nel suo periodo di permanenza a Courmayeur, delle imprese incredibili sulle più vertiginose pareti del Monte Bianco. Come spesso accade agli audaci e a coloro che si espongono in prima persona, riuscendo dove altri nemmeno avevano osato, fu oggetto di invidie, calunnie e scorrettezze, e mentre in Francia riceveva addirittura la “Legion d’onore”, in Italia avrebbe invece dovuto impiegare cinquant’anni per far trionfare la “sua verità” nel controverso caso della spedizione al K2. Forse, molti gli rimproverarono di essere sempre ritornato vivo da quelle tragedie che lo coinvolsero nel momento d’oro della sua carriera, mentre altri suoi compagni rimanevano esamini sulla montagna. Altri lo accusarono, in più di un’occasione, di averli addirittura abbandonati. In verità Walter era un uomo fuori dal comune con un fisico eccezionale, ma soprattutto un generoso che fece ciò che era nelle sue reali possibilità per salvare i propri compagni. Si ritirò dall’alpinismo nel 1965 a soli 35 anni, affermando che dopo l’impresa solitaria sulla parete nord del Cervino avrebbe soltanto potuto “ripetersi”. Si dedicò allora ai grandi viaggi e alle esplorazioni negli angoli più remoti del mondo come inviato della rivista Epoca, divenendo brillante giornalista e scrittore. Pur conservando nell’intimo più profondo un amore eterno per la montagna, qualcosa si era però danneggiato per sempre nel suo pensiero relativo all’alpinismo.
Nel mio ultimo colloquio con lui, in un dietro le quinte al Cinefestival di Trento dell’aprile scorso, al termine di una sua conferenza gli avevo sottolineato quanto il suo giudizio fosse stato eccessivamente severo e ingiusto nei confronti della scalata e dell’alpinismo moderno. Lui, aveva alzato le braccia al cielo e aveva semplicemente sorriso. Ma a Bonatti si poteva “perdonare” tutto.
Agli alpinisti che come me hanno avuto il privilegio di conoscerlo di persona, di ripetere alcune delle sue memorabili vie e di leggere tutti i suoi libri, resta una grande lezione di vita, di determinazione e di stile.
Grazie Walter.
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